Giovedì, 5 Giugno 2008

Era il 1970, quando in una Italia, attraversata da profondi cambiamenti sociali, si decideva di rompere con la tradizione millenaria legata al pensiero cattolico dell’indissolubilità del matrimonio.

 

Trentadue anni dopo, il Grande Papa Giovanni Paolo II, in un noto discorso alla Rota Romana, ribadiva, invece, l’indissolubilità del matrimonio, rilevando, tra l’altro, che: “…il bene dell’ indissolubilità è il bene dello stesso matrimonio; e l’incomprensione dell’indole indissolubile costituisce l’incomprensione del matrimonio nella sua essenza”.

 

Ora, apprendiamo da recenti dati Istat, che dal 1995 al 2005 i divorzi nel nostro paese, sono aumentati del 74% e le separazioni del 57%.

 

Si tratta di dati preoccupanti, che dovrebbero allarmare tutti, sia coloro che credono nell’indissolubilità del matrimonio, sia coloro che si riconoscono nell’attuale concezione del divorzio-rimedio.

 

Al di là di ogni particolare appartenenza politica.

Sono dati, che se registrati nuovamente in seguito, potrebbero significare la veloce destrutturazione della società italiana.

 

Le precise cause di questo “disastro familiare”, non sono del tutto approfondite, ma certamente anche l’accentuarsi dei comuni comportamenti sociali ispirati alla spasmodica velocità di pensiero, di comunicazione, di decisione e di azione, possono, involontariamente, determinare facilità e superficialità, impedire nei coniugi una compiuta riflessione sulle crisi di coppia, impedire una elaborazione di sintesi, impedire, quindi, anche l’espressione di una volontà, formatasi all’interno, correttamente e compiutamente.

 

In questo modo, anche le crisi passeggere, quelle determinate da normali e futili disaccordi coniugali, quelle determinate dal primo affacciarsi di una problematica, sfociano, ormai, nella separazione personale.

 

In questo modo, va determinandosi una super utilizzazione degli istituti della separazione e del divorzio anche al di fuori della sussistenza di vere e proprie disfunzioni e patologie del vincolo.

 

E’ al contrario, interesse della collettività, che in questa delicata materia coinvolgente la crescita e l’educazione delle future generazioni, la volontà dei coniugi, si formi il più possibile consapevolmente, attenuando il concorso di elementi vizianti, di frettolose rappresentazioni della realtà, di stati di ira o comunque emotivi e passionali.

 

Venuta meno la rete di protezione e solidarietà della famiglia parentale, anche quale ammortizzatore di crisi coniugali, la famiglia in crisi è sola ed è un dovere che appartiene a tutti noi, impegnarsi per scongiurare o lenire le sofferenze di tante persone, di tanti figli, segnati da tragedie familiari.

 

Siamo comunque, sicuri che molte delle sofferenze personali prodotte da questa lunga teoria di separazioni e divorzi, non erano altrimenti evitabili?

 

Siamo cioè, sicuri che molte di queste coppie descritte dall’Istat, non avrebbero potuto in alcun modo pacificarsi?

 

Siamo sicuri che molte di queste coppie, fornendo normativamente la possibilità di un aiuto concreto, di un supporto alla breve riflessione, non avrebbero potuto riconciliarsi?

 

Di sicuro, i dati dell’Istat, sottolineano tutte le carenze ed i limiti dell’attuale attività conciliativa giudiziale, disciplinata dall’art. 708 c.p.c., nell’ambito del procedimento di separazione personale (“Tentativo di conciliazione, provvedimenti del Presidente” – “All’udienza di comparizione il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione”. “Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione”).

 

Quale conciliazione può tentarsi, se con gli attuali strumenti giuridici previsti e a disposizione (per lo più ripetitivi atti di parte), non è possibile conoscere a fondo, le problematiche che obiettivamente e realmente affliggono il nucleo familiare?

 

Quale tentativo di conciliazione, può sortire esito positivo, improvvisandolo all’udienza, senza una attività di preparazione della stessa conciliazione?

 

Quale volontà di conciliarsi, potrebbe essere, di colpo esternata all’udienza, se non si favorisce affatto, precedentemente ed interiormente anche la possibile formazione di una volontà corrispondente?

 

Chi, attualmente, decide di proporre un ricorso finalizzato ad ottenere la separazione personale, all’udienza e nel momento in cui, invece, viene velocemente sentito per ascoltare la sua disponibilità alla conciliazione, potrebbe giustamente non prendere sul serio tale possibilità, potrebbe giustamente sentirsi precettato partecipe di una breve quanto dovuta rappresentazione ioci causa.

 

Per conciliare i coniugi, non può essere sufficiente e non è sufficiente, domandare agli stessi se sono disposti a conciliarsi.

 

La previsione dell’attuale tentativo di conciliazione, se vale, formalmente, a salvaguardare determinate finalità ed interessi dell’ordinamento, non vale a salvare lo stesso tentativo di conciliazione da una connotazione di genericità.

 

La superficialità dell’attuale attività conciliativa oltre a stridere con l’interesse pubblico al mantenimento del “bene famiglia”, è giuridicamente illogica, rispetto alla previsione dei vizi del consenso che consentono l’impugnativa del matrimonio, rispetto al rigore delle attività coordinate alla celebrazione del matrimonio e rispetto al rigore delle condizioni (requisiti e assenza di impedimenti) per la celebrazione dello stesso matrimonio.

 

La superficialità dell’attuale tentativo di conciliazione, potrebbe al più, risultare consona ad una trascorsa situazione normativa, fino al 1975, quando era possibile separarsi in mancanza di un accordo, solo se si riusciva a dimostrare l’altrui colpa.

 

I magistrati, d’altronde, in questo settore, debbono smaltire considerevoli carichi di lavoro, per questo motivo, anche volendo andare oltre lo scarno dato normativo, non sarebbero in grado, materialmente, di svolgere una attività conciliativa, di qualità superiore alla mera formalità burocratica.

Gli avvocati, d’altronde, quali difensori della parte, oltre ad essere tenuti a rappresentare una volontà di separazione coltivata ed espressa dal proprio assistito, sono anche volontariamente o involontariamente una proiezione personale del coniuge in conflitto, e quindi, già di per sé appaiono poco credibili a svolgere una attività di mediazione e conciliativa.

 

Nell’attività conciliativa inerente la separazione personale dei coniugi, sarebbe quindi opportuna, l’introduzione di una nuova figura giuridica, di un soggetto terzo, realmente credibile per entrambe le parti, che coadiuvi l’attività giudiziaria.

 

Ci soffermiamo solo sull’attività conciliativa inerente il procedimento di separazione personale dei coniugi, ovvero sul procedimento che può condurre ad una situazione transitoria di legale sospensione dei doveri reciproci, in quanto nella successiva fase di divorzio, la stessa attività conciliativa (seppure già prevista dalla L. n. 898/1970), possiede di per sé, probabilità di riuscita minori.

 

I coniugi, è inutile dirlo, se antecedentemente e nelle more del conseguimento della separazione, possono comunque soffrire di uno stato psicologico di dubbio ancora tendente al ripensamento delle proprie azioni, una volta ottenuta la separazione, sono, invece, portati naturalmente e logicamente a ricostruirsi del tutto un nuovo percorso di vita, utilizzando la stessa separazione come strumento preparatorio del divorzio.

 

Al riguardo, il movimento “Clemenza e Dignità”, ha cercato di interpretare il citato pensiero sul matrimonio di Giovanni Paolo II e tutte le sopra esposte argomentazioni, con la seguente proposta di introduzione del c.d. “curatore familiare”, nel procedimento di separazione personale dei coniugi, nel contesto di una specializzazione nel settore dei diritti fondamentali e nell’ambito dell’istituzione del Tribunale della Famiglia.

La seguente proposta di introduzione del c.d. “curatore familiare”, incide solamente sull’attività conciliativa, lasciando inalterata, per il resto, la vigente normativa di separazione personale.

 

La seguente proposta di introduzione del c.d. “curatore familiare”, non è finalizzata a rendere più difficoltosa la procedura di separazione personale dei coniugi, ma si prefigge, unicamente, lo scopo di rendere la coppia, maggiormente consapevole, nella gestione delle dinamiche di crisi matrimoniali.

 

La seguente proposta di introduzione del c.d. “curatore familiare”, non ha alcuna pretesa di compiutezza, è semplicemente una proposta migliorabile, attraverso auspicate e successive attività di sviluppo normativo.

 

In particolare, successivamente al deposito in cancelleria del ricorso per la separazione personale dei coniugi, contestualmente alla fissazione con decreto della prima udienza di comparizione dei coniugi o comunque, contestualmente alla fissazione del giorno per sentire i coniugi e procurare di conciliarli, il Presidente ex art. 706 c.p.c. o ex art. 711 c.p.c. (nella consensuale), tra le altre, provvederà a nominare un ausiliario tecnico del giudice, attraverso una apposita lista di persone da istituirsi presso ogni Tribunale della Repubblica e composta da esperti nel settore familiare e minorile (avvocati specializzati in mediazione familiare, psicologi, sociologi, ecc).

 

Il predetto ausiliario tecnico, che qui potremmo denominare per comodità espositiva, il curatore familiare, è un soggetto terzo, rispetto alle parti e rispetto alla res litigiosa.

 

Il curatore familiare, rimane in carica per uno spazio temporale molto limitato, dall’atto della sua nomina, coincidente con la fissazione della comparizione delle parti, sino al tentativo di conciliazione esperito dal presidente.

 

Il curatore familiare, quindi, esplica le sue funzioni in uno spazio temporale, che è solitamente privo di rilevanti attività giuridiche.

 

Esperito il tentativo di conciliazione dal presidente, anche se la conciliazione non riesce, il curatore familiare, decade dalle sue funzioni.

 

Il curatore familiare, oltre a svolgere generale attività di supporto nelle dinamiche di crisi coniugali, ha sostanzialmente una funzione strumentale e preparatoria dello stesso tentativo di conciliazione del presidente, mirando a far conseguire una maggiore precisione ed effettività al tentativo di conciliazione e quindi, una maggiore possibilità di conciliazione.

 

Il curatore familiare, deve, entro i due giorni successivi alla partecipazione della sua nomina, comunicare al presidente la propria accettazione.

 

Qualora il curatore non osservasse questo obbligo, il presidente provvede d’urgenza alla nomina di altro curatore.

 

Non possono essere nominati curatori familiari e se nominati decadono dal loro ufficio, l’interdetto, l’inabilitato o chi sia stato condannato ad una pena che importi l’interdizione anche temporanea dai pubblici uffici.

 

Non possono essere nominati curatori familiari il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado dei coniugi.

 

Non possono inoltre essere nominati curatori familiari, chi ha prestato comunque la sua attività professionale a favore del coniuge o dei coniugi.

Il curatore familiare non può assumere la veste di avvocato nel giudizio che riguarda la separazione.

 

Il curatore familiare esercita personalmente le attribuzioni del proprio ufficio e non può delegarle ad altri.

 

Il curatore familiare, per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni è pubblico ufficiale.

 

Il curatore familiare, è tenuto ad osservare il segreto in merito a quanto appreso nell’esercizio delle sue funzioni.

 

Il curatore familiare, deve adempiere con diligenza ai doveri del proprio ufficio.

 

Il curatore familiare, dopo l’accettazione della nomina, entra immediatamente in contatto con la famiglia, i coniugi ed i rispettivi rappresentanti, provvede a convocare i coniugi con nota R/R, separatamente o congiuntamente, ed in tale circostanza, stende apposito verbale di audizione sul generale andamento della vita familiare, sulle problematiche di ogni tipo che affliggono permanentemente o saltuariamente il nucleo familiare, sull’attuale stato della comunione tra coniugi, sull’eventuale pericolo di grave pregiudizio per l’educazione della prole, sui rapporti patrimoniali fra coniugi, sulle cause e circostanze che possono rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza (violazione dei doveri matrimoniali, fatti materialmente impeditivi della convivenza, fatti moralmente impeditivi della convivenza), sulle motivazioni personali dei coniugi nella separazione consensuale, sulle esigenze personali di ciascuno dei coniugi e sugli interessi reali degli stessi, sulle cause e circostanze che potrebbero determinare l’eventuale conciliazione tra i coniugi, sulle cause e circostanze che possono essere, invece, impeditive della stessa conciliazione tra i coniugi.

 

In sede di audizione, il curatore familiare, deve altresì rendere edotte le parti, sulla possibilità di conciliarsi e sulle conseguenze giuridiche della separazione personale.

 

In sede di audizione, il curatore, in caso di intervenuto matrimonio concordatario ed in caso di intervenuto matrimonio acattolico, indicherà altresì ai coniugi, la possibilità, previo consenso comune di entrambi, di farsi sostenere spiritualmente e moralmente nella conciliazione, rispettivamente da un ministro di culto cattolico o (in caso di intervenuto matrimonio acattolico) da un ministro di quella corrispondente e particolare confessione religiosa diversa dalla cattolica.

 

In sede di audizione le parti possono farsi assistere da un legale.

 

E’ facoltà del curatore, contestualmente all’audizione dei coniugi e per quanto opportuno, ascoltare anche le opinioni espresse dai figli conviventi che abbiano compiuto il sedicesimo anno.

 

E’ sempre facoltà del curatore, dopo l’audizione, sentire i coniugi per richiedere ulteriori notizie, delucidazioni e chiarimenti.

 

All’esito delle descritte audizioni ed accertate le problematiche familiari, il curatore, sentite le parti ed in stretto contatto con esse, elabora una prima base di conciliazione da notificarsi ai coniugi e da potersi confermare e ratificare dagli stessi coniugi successivamente dinanzi al presidente.

 

Tale base di conciliazione, deve essere notificata ai coniugi, affinché essi, possano acquisirne contezza e possano avervi il tempo di riflettervi sopra, in attesa della comparizione dinanzi al presidente.

 

Tale base di conciliazione elaborata dal curatore familiare, avrà il contenuto di un vero e proprio patto di conciliazione tra i coniugi e potrà prevedere:

 

  1. accordi;
  2. reciproche concessioni;
  3. rinunzie;
  4. diritti;
  5. obblighi;
  6. inviti e raccomandazioni alle parti;
  7. soluzioni adeguate alle esigenze dell’unità e della vita della famiglia;
  8. valorizzazione degli eventuali elementi di sintonia tra coniugi;
  9. sensibilizzazione dei coniugi su quanto già costruito insieme in un comune percorso di vita;
  10. chiarimenti;
  11. formale ammenda e pentimento di un coniuge all’altro;
  12. progressivi e graduali processi di riunione familiare suddivisi per tappe nel generale contesto di un prestabilito periodo di prova, di riflessione e di valutazione;
  13. condotte di ravvedimento e/o di riparazione del coniuge colpevole;
  14. messa alla prova del coniuge colpevole per dar modo all’altro coniuge di valutarne in un certo tempo le evoluzioni comportamentali;
  15. particolari condotte attive o omissive dei coniugi ricostituenti l’intesa e la comunione;
  16. nuovi propositi e nuovi impegni personali dei coniugi, da rispettarsi, conformi alla riscontrata situazione familiare;

 

Tale base di conciliazione, quale soluzione alle esigenze dell’unità e della vita della famiglia, è superfluo dirlo, sarà elaborata dal curatore, inseguendo nelle sue possibili articolazioni (accordi, reciproche concessioni, rinunzie, ecc.) un criterio di opportunità, di media e di equilibrio che possa consentire la massima probabilità di adesione da parte di entrambi i coniugi.

 

Tale base di conciliazione, quindi, potrà avere natura economica, comportamentale, affettiva o mista, a seconda delle riscontrate problematiche familiari.

 

Tale base di conciliazione potrà concernere ogni aspetto della vita matrimoniale, colpito da situazioni di criticità, compresi gli aspetti inerenti la prole e compreso, quindi, gli aspetti inerenti gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della stessa.

 

Tale base di conciliazione, elaborata dal curatore, non potrà comunque derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio né derogare a quanto previsto nel Libro I – Titolo VI – Capo VI del codice civile, sul regime patrimoniale della famiglia.

 

Tale base di conciliazione, elaborata dal curatore, conterrà in calce, l’invito a confermare e ratificare la stessa dinanzi al presidente, l’invito, quindi, prima di insistere nella separazione, se non altro a provare e verificare un nuovo percorso comune di vita, nell’ottemperanza delle condizioni previste nella stessa base di conciliazione.

 

Entro sessanta giorni dalla nomina, il curatore familiare deposita una particolareggiata relazione descrittiva della riscontrata situazione familiare, con allegato il verbale di audizione delle parti e con allegata la base di conciliazione notificata ai coniugi, da potersi confermare e ratificare dinanzi al presidente.

Tale relazione oltre a far conseguire una sufficiente contezza al giudice sulla riscontrata situazione familiare, ha la funzione di individuare con precisione le reali problematiche che affliggono i coniugi, in modo da consentire anche un tentativo di conciliazione del presidente, che sia mirato proprio su tali problematiche.

 

Al giorno per la comparizione delle parti, il presidente, quindi, legge dinnanzi ai coniugi il testo di conciliazione elaborato dal curatore e sulla base di questo testo e sulla base di eventuali deduzioni modificative apportate dalle parti, di comune accordo, in udienza, il presidente richiede il relativo consenso sulla conciliazione.

 

Una volta esperito il tentativo di conciliazione del presidente, se i coniugi si conciliano, così come nell’attuale previsione normativa (art. 708 c.p.c), “il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione” (che recepirà come accordo formale il testo di conciliazione elaborato dal curatore, oltre le eventuali deduzioni modificative apportate dalle parti, di comune accordo, in udienza).

 

Una volta esperito il tentativo di conciliazione del presidente, se la conciliazione non riesce, così come nell’attuale previsione normativa (art. 708 c.p.c.), “il presidente, anche d’ufficio, sentiti i coniugi ed i rispettivi difensori, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a questi”.

 

Una volta esperito il tentativo di conciliazione del presidente, se la conciliazione non riesce, così come nell’attuale previsione normativa di separazione consensuale (art. 711 c.p.c.), “si dà atto nel processo verbale del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole”.

Una volta esperito il tentativo di conciliazione del presidente, anche se la conciliazione non riesce, il curatore familiare, come accennato sopra, decade dalle sue funzioni.

 

La mancata partecipazione del ricorrente alla attività preconciliativa del curatore familiare, nella separazione giudiziale, rende la domanda priva di effetto.

 

La mancata partecipazione del coniuge del ricorrente, alla attività preconciliativa del curatore familiare o la reiterata mancata comparizione personale del coniuge del ricorrente dinanzi al presidente, nella separazione giudiziale, sono valutabili ai fini dell’addebito della separazione ed ai fini dei provvedimenti temporanei ed urgenti ex art. 708 c.p.c..

 

La mancata partecipazione dei coniugi alla attività preconciliativa del curatore familiare, nella separazione consensuale, rende “non omologabile”, la stessa separazione da parte del Tribunale.

 

Il compenso del curatore familiare, ad istanza dello stesso curatore è determinato, tenuto conto dell’attività e dei risultati della stessa attività conciliativa, con decreto del Tribunale non soggetto a reclamo e posto a carico del ricorrente o dei ricorrenti in solido.

 

In caso di persona/e non abbienti, il compenso è posto a carico dell’erario.

 

Il compenso del curatore familiare, è ricavato da apposite norme e tabelle da stabilirsi con decreto del Ministro della Giustizia.

 

Roma 05-06-2008                                          Movimento Clemenza e Dignità

Giuseppe Maria Meloni

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“MOVIMENTO CLEMENZA E DIGNITÀ”, DOCUMENTO APERTO PER UNA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA PENALE.

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